2021



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Le fotografie

– Particolare del volto della Madonna e del Bambino, nell’affresco di Giorgio Vasari “San Luca dipinge la Vergine”, 1565, collocato nella cappella dei Pittori della SS. Annunziata di Firenze.

– Altro particolare dell’affresco.

– Passignano, San Luca dipinge la Vergine, 1592/93, Firenze, Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture.

– Pinturicchio, San Luca dipinge la Vergine, 1509, Roma, Santa Maria del Popolo.


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SAN LUCA DIPINGE LA VERGINE (da un saggio di Marsha Libina)


Nel 2019 Marsha Libina ha pubblicato in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz” (LXI, quaderno 2) il saggio Divine visions - Image-making and imagination in pictures of Saint Luke painting the Virgin – Visioni divine - Creazione di immagini e immaginazione nelle pitture di San Luca che rappresenta la Vergine.
L’autrice considera come nella prima età moderna sia emersa, per l’immaginazione dell’artista e per il suo status problematico di mediatore del divino, una crescente ansia, diventata più evidente nelle opere realizzate per le accademie degli artisti di nuova costituzione a Firenze e Roma. In modo esemplare questa preoccupazione appare nei San Luca che dipinge la Vergine di Giorgio Vasari, del Passignano e nella pala d’altare, spesso attribuita a Raffaello, collocata da Federico Zuccaro nell’Accademia di San Luca.
Il significato della nuova formula di visione dell’artista e le circostanze storiche spiegano la sua comparsa tra i pittori appartenenti agli ambienti accademici dell’arte italiana.
Nel momento particolare della Riforma cattolica, consapevoli della sregolatezza dell’immaginazione, le prime accademie d’arte moderne difesero e istituzionalizzarono il valore della finzione estetica come indispensabile alla figurazione del Dio invisibile. Ovvero l’immagine artistica poteva rivelare verità divine a condizione che fosse riconosciuta per quello che era: un artificio.

Sulle tracce di questi presupposti, si svolge il saggio di Libina, corredato dalle belle immagini di San Luca pittore compresa quella notissima di Giorgio Vasari che orna degnamente la cappella dei Pittori della SS. Annunziata di Firenze. L’autrice così ne scrive:

“ [...] San Luca non è più un osservatore della realtà concreta con la Vergine col Bambino seduti davanti a lui, né un pittore che lavora a memoria, ma piuttosto un testimone di un’apparizione portata da una nuvola che entra nel suo studio.
Gli astanti alzano il capo in soggezione, mentre lui rimane concentrato sulla vista della Vergine col Bambino sospesa sopra di lui. L’apparizione è percepita da occhi corporei ed è testimoniata da tutti nella stanza”.
La scena ricorda anche il racconto di Anton Francesco Doni dell’ispirazione divina di Michelangelo quando lavorava alla sua Madonna medicea per la Sagrestia Nuova di San Lorenzo: “La stanza dove [l’artista] lavora, che v’è una Madonna che scese di Paradiso a farsi ritrarre”.
Ma l’idea di raffigurare San Luca veggente con la Vergine e gli angeli che gli appaiono davanti potrebbe provenire anche dall’opera di Filippino Lippi, che Vasari vide nella Badia Fiorentina.
Il suo San Bernardo è raffigurato mentre scrive sul tema dell’Annunciazione con il vangelo di Luca aperto al relativo testo. La Vergine interrompe la sua scrittura e tocca la pagina del manoscritto, come per offrirgli un nutrimento spirituale e per ravvivare la sua opera di ispirazione divina.
In modo simile, la Vergine nell’affresco del Vasari autorizza l’immagine con il dito puntato, che quasi tocca il bordo del quadro, e lo riempie di grazia divina.
Così facendo, la scena sulla tela prende vita: la Madonna protende la mano sinistra e sembra prendere un’estremità del bastone di Luca nel palmo.
L’impressione è accresciuta dalla disparità del gesto della mano tra la Vergine reale e quella dipinta, nonché dalla fisicità della figura rappresentata, che, per l’omissione delle nuvole ai suoi piedi, “difficilmente tradisce la sua natura visionaria”.

L’opera del Vasari fu conclusa due anni dopo la XXV sessione del Concilio di Trento, che nel dicembre del 1563 emanò un decreto sulla questione di come si debba intendere la rappresentazione del divino nell’arte:

“E se a volte può accadere che le storie e i racconti delle Sacre Scritture siano rappresentati e mostrati (quando è vantaggioso per l’analfabeta), si istruisca il popolo che non per questo la divinità è rappresentata nell’immagine come se potesse essere vista con gli occhi corporei o espressa in colori o figure”.

Gabriele Paleotti († 1597), Discorso sulle sacre e profane immagini, invece riporta:

“Ma poiche le scritture autentiche non dicono, che da alcuno siano mai stati veduti in tale trasfiguratione, non pare che convenga al pittore hora d’introdurla, eccetto in quei casi, dove le vite loro approvate facessero fede, che fossero stati tal’hora veduti in quella forma, come di alcuni santi si legge”.

“Diciamo che, essendo l’officio del pittore l’imitare le cose nel naturale suo essere e puramente come si sono mostrate agli occhi de’ mortali, non hà egli da trapassare i suoi confini, ma lasciare a’ theologi e sacri dottori, il dilatarle ad altri sentimenti più alti e più nascosti: altrimente seria un confondere ogni cosa, e passare tumultuariamente dallo stato della natura a quello della gratia, o della gloria”.

Anche Federico Zuccaro († 1609) scrisse in L’Idea de’ pittori, scultori, et architetti:

[...] per questo nome di Dissegno interno, io non intendo solamente il concetto interno formato nella mente del Pittore, ma anco quel concetto, che forma qualsivoglia intelletto [...] e non uso il nome d’intentione, come adoprano i Logici, e Filosofi; o di essemplare, o Idea, com’usano i Theologi [...] si devono usare i nomi conforme alle professioni di cui si ragiona”.

E Cesare Nebbia pittore orvietano († 1614 circa) aggiunse in Del’Eccellenza de la Pittura:

“Ben lo san quei ch’i santi fatti han scorti, / spiegati col pennello in color vago; / e quel ch’in lor non fer le note sante, / fe’ l’opera del pittor fido, e prestante”.

Paola Ircani Menichini, 26 giugno 2021.
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